martedì 27 ottobre 2015

I MOTI DELL'ANIMA NARRATO DA VINCENZO IMPERATI





di VINCENZO IMPERATI


Era un sabato pomeriggio, a Positano il tempo andava migliorando ma oramai iniziava a levarsi nell'aria quella tipica brezza fresca, che di certo non avrebbe garantito una calda serata; così mi accorsi di due cose: avevo dimenticato il soprabito in albergo; e dopo un'occhiata nel taschino, aimè ero anche in ritardo.
Ero arrivato ormai, mi toccò solo salire una rampa di scale per raggiungere il posto indicato sul volantino. Sbadatamente lasciai sbattere la porta alle miei spalle: ero entrato, e ad accogliermi vi era un'anziana signora seduta comodamente dall'altro lato di uno scrittoio. Aveva uno sguardo assente, come se non volesse stare lì in quel momento, mio sembrava perciò quasi triste; magari mi sbagliavo, si era solo distratta un momento. Comunque mi rivolse solo un debole sorriso e mi fece segno con l'indice. Seguii la direzione da lei indicata e scostai leggermente la porta socchiusa dalla quale sbucava della luce.
Varcai impaziente la porta: la stanza che mi si presentò non era tanto grande come credevo, rimpicciolita a sua volta da un gran finestrone infondo a tutto, troppo stretta e lunga per i miei gusti e purtroppo per me gremita di persone. Restai lì immobile per un momento a pensare quanto mi sarebbe piaciuto osservarla priva di vita in quel complesso statuario di sedute bianche, sospesa in un assoluto silenzio.
Mi diressi infondo alla sala sfiorando la candida ma ruvida parete bianca. Cercai di far silenzio ma, involontariamente, giocai con la pazienza di qualche signore che mi rispose con un'occhiataccia. Non so per quale motivo proseguii e superai l'uscio del finestrone e mi sedetti su una gracile sedia di plastica ormai cotta dal sole.
Quella sera la piccola sala era un modesto teatro di esibizioni. Si esibivano poeti. Magri, grossi, giovani e anziani, accompagnati da qualcuno o soli, tutti possessori però tra le loro mani di un foglio: padrone conservatore delle loro parole accuratamente scelte e messe in ordine.
Io ero troppo stanco e decisi di rilassarmi su quella sedia, ad ammirare l'inchino del sole ormai stanco affogato dal mare di nuvole per tutta la giornata senza mai aver avuto la possibilità di salire a galla per poter respirare e farci un saluto in quella giornata nuvolosa.
In un secondo momento volli alzarmi per godere a pieno quell'insieme melodico di suoni provenienti dalla sala che trasformavano quelle preziose parole stampate in sinfonie e i loro autori in veri cantanti. Mi affacciai così all'interno, e il mio volto, ormai fin troppo accarezzato dal fresco della sera, provò sollievo in quell'aria di stanza riscaldata. Da lì osservai alcuni dei personaggi in sala, quelli che attiravano più la mia attenzione e risaltavano più ai miei occhi. Dalla parete opposta dove mi trovavo io, vi erano cinque sedie, ma solo tre erano occupate da altrettante signore di mezza età. Non mi chiesi se mancasse qualcuno, osservai soltanto ciò che i miei occhi vedevano. Una di loro era intenta a dirigere quel coro muto di poeti seduti al loro posto, chiamandoli uno alla volta, facendoli esibire in singolo. Le altre due sedute accanto, portavano entrambe gli occhiali, e a ogni esibizione poetica si scambiavano velocemente ma silenziosamente qualche giudizio o impressione; senza distrarre il pubblico, incantato dal poeta di turno in piedi dietro al leggio.
Tra le prime file vi era seduto un fotografo. Anche lui catturò il mio sguardo e distrasse la mia mente dall'ascolto delle poesie. Da quel che riuscivo a vedere era un signore anziano, un po' gobbo per via della spalla destra costantemente alzata alla ricerca della testa per incastrare la macchina fotografica tra le due membra. Indossava una camicia chiara, della quale riuscivo a scorgere solo il colletto, sopra di essa posava scomposta una vecchia giacca scura e logora. L'apparenza però mi aveva ingannato. La sua personalità era ben diversa da come me l'ero figurata e quindi cambiai radicalmente la mia descrizione attenta su di lui: come prima mi era sembrato rilassato, bonario e vagante come me tra i suoi pensieri, adesso mi appariva frenetico e agile e più veloce del tempo che passava incessantemente. I suoi scatti erano rapidi e con movimenti frenetici controllava ogni foto precedentemente scattata per segnare quella perfetta.
Quasi all'improvviso mi scostai dai miei pensieri, subito dopo sentii scandire dalla direttrice del metaforico coro il prossimo poeta. Da quel momento con i miei occhi guardai solamente il via vai dei poeti che uno alla volta recitavano le proprie poesie e tornavano al posto; con le miei orecchie riuscii a cogliere qualsiasi emozione uscente dalle loro parole, riuscii a memorizzarle temporaneamente per gustare ancora qualche secondo in più quelle emozioni.
Le poesie erano tutte bellissime e ognuna di esse mi cullava in un sogno, mi portava lontano, mi faceva ridere, piangere, mi faceva vivere la cruda realtà o la bellissima storia di una favola. Facevano tutte riflettere quelle poche o molte parole scritte in versi, permettevano a tutti noi di capire l'autore, capire qualcosa della sua vita, e anche qualcosa della nostra vita che non avevamo compreso a pieno. Le parole erano magiche quel giorno, permettevano a tutti noi di poter viaggiare dappertutto, erano barche in un porto, aerei su una pista. Ci avrebbero potuto portare dappertutto… I poeti ormai cantanti, si erano trasformati in maghi, potevano tutto loro, erano possessori di qualcosa di inestimabile, solo il potere delle parole scritte su un foglio poteva racchiudere tutti i loro pensieri e il mare infinito di emozioni che erano capaci di trasmettere a tutti coloro che erano in ascolto.
Quella stanza non era più piccola e stretta, quella stanza era infinita se c'era solo un poeta, immaginatene quaranta.

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